Per l’FMI il credito troppo facile è un problema

Le misure estreme adottate dalle banche centrali per risollevare l'economia dopo la crisi del 2008 hanno funzionato, ma hanno anche agevolato l'accumularsi di una serie di fragilità. Il Fondo Monetario lancia l'allarme e propone qualche soluzione

Riavvolgiamo il nastro, come si diceva in tempi analogici. Nel 2008 è esplosa la crisi subprime, il cui punto di innesco è stato il credito concesso a piene mani anche alla clientela più a rischio di insolvenza. Ne è seguita una recessione. Per superarla, le autorità monetarie hanno praticato robuste iniezioni di liquidità alle banche, che a loro volta hanno fatto prestiti a famiglie e imprese a tassi contenuti aiutando l’economia a risollevarsi. Ora, però, rischia di ripresentarsi la stessa ingarbugliata matassa che quasi ci soffocò 10 anni fa. A lanciare l’allarme è il Fondo Monetario Internazionale nel suo ultimo Global Financial Stability Report.

Attenzione agli effetti collaterali. “Le attuali condizioni finanziarie, per quanto favorevoli alla crescita nel breve termine, continuano ad agevolare l’accumulo di fragilità aumentando i rischi per la stabilità globale e per la crescita economica nel medio periodo”, scrivono gli esperti del Fondo Monetario. In altre parole, la cura massiccia approntata dai “dottori” delle banche centrali – fatta di bassi tassi di interesse, denaro a costo zero o quasi e acquisti ad ampio spettro di titoli obbligazionari emessi dagli Stati – sta sostenendo l’economia, ma potrebbe finire con l’avere effetti collaterali non troppo diversi dalla malattia che voleva curare.

Tutto bene, per adesso. Per ora il “paziente” appare in buone condizioni: sia per quest’anno che per il 2019 il Fondo Monetario prevede una crescita del Prodotto Interno Lordo globale del +3,9%, con un buon contributo di tutte le principali economie sviluppate ed emergenti. Ma il punto è che le politiche monetarie non convenzionali messe in atto dopo la crisi finanziaria globale hanno incoraggiato gli investitori a spingersi un po’ oltre nella ricerca del rendimento, scegliendo strumenti finanziari che potrebbero salire di qualche gradino in un’ideale classifica del rischio non appena lo “stato di grazia” creato dalle agevolazioni monetarie verrà meno. E non manca poi molto: alcune banche centrali hanno già iniziato ad alzare i tassi ufficiali o comunque a preparare il mercato a una linea che sarà sempre meno accomodante.

Valutazioni ragionevoli o costose? “Le valutazioni del mercato azionario USA non mi sembrano irragionevoli”, ha detto qualche giorno fa a CNBC William Dudley, governatore della Fed di New York. Il Fondo Monetario non è dello stesso parere e ritiene che tali valutazioni rimangano costose. La ripresa economica globale in corso, le forti performance aziendali e i tassi di interesse ancora bassi hanno sostenuto i corsi azionari, tanto che negli Stati Uniti, anche a valle dell’ondata di volatilità che ha preso il via i primi di febbraio, la capitalizzazione del mercato è passata dal 95% del Prodotto Interno Lordo rilevato nel 2011 al 155% del PIL del marzo 2018. E l’incremento dei prezzi azionari globali ha stimolato nuove emissioni, soprattutto nei mercati emergenti. “Questi sviluppi”, scrive l’FMI, “sollevano domande su valutazioni e potenziali eccessi degli investitori”.

Obbligazioni e prestiti a leva. Le condizioni finanziarie favorevoli hanno favorito anche le emissioni di obbligazioni societarie, che rappresentano un investimento nel debito delle imprese. In particolare, sono cresciute sia le emissioni di bond più rischiosi sia la quota di obbligazioni con rating BBB sul totale dell’universo investment grade. Ma segnali di surriscaldamento sono evidenti anche nel mercato dei prestiti a leva, la cui emissione a livello globale ha raggiunto nel 2017 il livello record di 788 miliardi di dollari, superando anche i 762 miliardi “pre-crisi” risalenti al 2007. Un inasprimento delle condizioni finanziarie generali – per esempio dopo una serie ravvicinata di aumenti dei tassi di interesse, che non si può del tutto escludere – può provocare un’accelerazione delle insolvenze, con forti implicazioni negative per l’economia.

Altri rischi e come affrontarli. Il Fondo Monetario punta il dito anche contro l’emissione di obbligazioni collateralmente garantite da debiti (CDO), il margine di debito, l’utilizzo della leva finanziaria da parte dei fondi di investimento, la stipula di contratti derivati per aumentare i ritorni e non solo per proteggersi (cosa che può amplificare gli shock nei periodi di stress) e la crescita di ETF meno liquidi. Cosa fare, e chi può farlo, per evitare la replica di ciò che abbiamo vissuto dopo il 2008? Il Fondo Monetario Internazionale cita a questo punto le responsabilità dei politici, “che dovrebbero sfruttare l’ambiente favorevole di oggi per adottare misure di salvaguardia contro i rischi finanziari incombenti”. Ma non solo.

  • Le banche centrali dovrebbero continuare a ritirare gradualmente gli aiuti monetari, laddove opportuno, comunicando chiaramente le proprie decisioni.
  • Le autorità di regolamentazione dovrebbero affrontare le vulnerabilità finanziarie implementando e sviluppando opportuni strumenti normativi.
  • Gli organismi politici dovrebbero garantire il completamento dell’agenda di riforme della regolamentazione post-crisi e resistere alle richieste di sconti e riduzioni.
  • I mercati emergenti e i Paesi a basso reddito dovrebbero costruire riserve e ammortizzatori fiscali contro i rischi esterni.
  • Investitori e politici, infine, non dovrebbero perdere di vista i rischi associati all’aumento dei tassi, all’alta volatilità del mercato e all’incremento del protezionismo.

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