La Fed rispetta la sua tabella di marcia. Per ora

Gli operatori si domandano se nel 2018 gli interventi per aumentare i tassi saranno davvero in tutto tre - in linea con quanto detto e ribadito finora dalla banca centrale USA - oppure quattro. Accelerazione più probabile nel 2019 e nel 2020

Nella riunione del 20 e 21 marzo, la prima presieduta dal nuovo presidente Jerome Powell, la Federal Reserve si è attenuta al copione già condiviso con i mercati (che infatti non hanno dato segni di turbamento, avendo già scontato la mossa della banca centrale) decidendo di aumentare i tassi di interesse di 25 punti base e di portarli al corridoio compreso tra l’1,50 e l’1,75%.

Tre o quattro aumenti nel 2018? Siamo ormai al sesto aumento dalla fine del 2015 e al primo di quest’anno, mentre ancora gli operatori si domandano se nel 2018 gli interventi per incrementare i tassi saranno davvero in tutto tre – in linea con quanto detto e ribadito finora dalla Fed – oppure quattro. Molto dipenderà dall’inflazione USA e dal mercato del lavoro statunitense, posto che Powell, almeno fino a questo momento, appare molto più attento all’andamento dei dati economici che non alle teorie e ai modelli, al contrario di alcuni suoi predecessori.

 Un nuovo passo verso la normalizzazione. Nella sua prima conferenza stampa dopo la riunione del board di politica monetaria, il presidente della Fed ha sottolineato come “oggi abbiamo fatto un altro passo verso la normalizzazione della politica monetaria”. Un processo che, ha ribadito, avverrà con gradualità e sempre monitorando l’inflazione, che per adesso rimane sotto il target di crescita annua del 2% fissato dalla banca centrale USA, e con un occhio anche all’occupazione e in particolare ai salari, che dopo il balzo di gennaio hanno registrato un rallentamento nel mese di febbraio. Insomma, almeno per ora i dati non sembrano così solidi da giustificare un’accelerazione del rialzo dei tassi già da quest’anno con quattro interventi al posto di tre.

Nuove stime di crescita. Quanto ai prossimi mesi, la Federal Reserve prevede un aumento dell’inflazione, che secondo la banca centrale dovrebbe stabilizzarsi al 2% nel medio termine (quindi in linea con l’obiettivo Fed). La disoccupazione, invece, dovrebbe scendere al 3,8% (a dicembre la Federal Reserve stimava una discesa al 3,9%). Ritoccate, questa volta al rialzo, le stime di crescita dell’economia americana per il 2018, al 2,7% dal 2,5% indicato a dicembre. Sui dazi, tema caldissimo di queste settimane, Powell si è limitato a dichiarare che “i cambiamenti delle politiche commerciali non hanno effetti sull’outlook”.

“Aggiustamenti graduali”. Powell, insomma, continua a mostrare segni di continuità con la Federal Reserve del suo predecessore Janet Yellen, insistendo sugli “ulteriori aggiustamenti graduali” anche alla luce delle nuove proiezioni economiche che, come visto, indicano un calo del tasso di disoccupazione e un’accelerazione della crescita ma con un impatto ancora tutto sommato contenuto sull’inflazione. E un’inflazione ancora contenuta è quella che si aspettano anche gli operatori del mercato, almeno a giudicare dai dati di Bloomberg riportati nel grafico qui di seguito.

 

Un “dot plot” più aggressivo. Come dicevamo, il 20 e 21 marzo il comitato di politica monetaria della Fed non ha apportato variazioni al numero di rialzi previsti per quest’anno, che restano tre in totale, ma ne ha aggiunto un altro al cosiddetto “dot plot” del 2019 e del 2020. Di cosa stiamo parlando? Ci riferiamo al grafico della Fed che riassume le indicazioni dei membri del consiglio sui tassi per la fine dell’anno in corso e per i due anni seguenti. Questa indicazione viene espressa trimestralmente (a marzo, a giugno, a settembre e a dicembre). Non è detto che le indicazioni diventino realtà, perché appunto molto dipende da come evolverà l’economia da qui in avanti. Ciò premesso, a marzo 2018 i membri del board prevedono tre interventi nel 2019 rispetto ai due stimati finora, con i tassi che raggiungeranno il 2,9% (dal 2,7% previsto in precedenza), e poi due rialzi nel 2020, fino ad arrivare al 3,4% (dal 3,1% dell’outlook di dicembre).

 

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