Marilyn, come lei nessuna mai

La donna che stravolse e sconvolse il mondo del cinema. A 50 anni dalla morte la Monroe è creatura dell’oggi...

Come lei nessuna mai. «Solo lei, tra tutte, ci ossessiona così. A cinquant’anni dalla sua scomparsa è viva come nessuna nel nostro immaginario. Le vengono dedicati film, mostre, libri, omaggi, rievocazioni. Ben lungi dall’essere una polverosa icona per cinéphiles, Marilyn Monroe è creatura dell’oggi. Moderna e contemporanea come non lo è alcun altro mito del cinema: né Brigitte Bardot né Elisabeth Taylor, né Sophia Loren né Rita Hayworth. Come lei nessuna mai» (Valeria Palermi, l’Espresso 14/6/2012).

Trentasei anni addietro. Il corpo, coricato e svestito, fu rinvenuto il 5 agosto 1962 al numero 12305 di Fifth Helena Drive a Brentwood, Los Angeles. Nell’istante del decesso pesava 53 chili, misurava 166 centimetri in lunghezza, nel suo corpo 8 milligrammi d’idrato di cloralio e altri 4,5 di Nembutal. Era nata 36 anni addietro, la mattina del 1° giugno 1926. La madre l’aveva registrato con il nome di Norma Jeane Mortenson. Dal 23 febbraio 1956 il nome legale era Marilyn Monroe.

Il pianoforte bianco. Nella casetta in cui abita con la madre, solo per un breve periodo (per il resto dell’infanzia e dell’adolescenza viene affidata a un orfanotrofio e a diverse famiglie), c’è un malridotto pianoforte bianco, che si dice appartenuto all’attore Fredric March. «I momenti più felici della mia infanzia ruotano intorno a quel pianoforte», racconta la Monroe, che assume un investigatore per ritrovarlo (e ci riesce).

Miss Lanciafiamme. Nel 1945 Norma fa l’operaia, impacchetta paracaduti alla Radio Plane. David Conover va a fotografare le ragazze che lavorano in quella fabbrica, la ritrae, le consiglia di fare la modella e le fa firmare una liberatoria. Grazie a quella foto verrà eletta “Miss Lanciafiamme”.

La scoperta che le cambiò la vita. «In gergo cinematografico si dice che ci sono delle attrici che “fanno l’amore” con la macchina da presa. Alle prime sedute di fotografie, a Marilyn capitò di fare la scoperta che le cambiò la vita: riusciva a raggiungere gli altri attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Fissava il punto nero lontano nella lente e sentiva profondamente chi la guardava. Si lasciava andare completamente allo sguardo – il primo sguardo su di lei – ed era accarezzata, scrutata, riconosciuta» (Cristina Comencini).

Col fazzoletto al viso. «Nel 1947 è Miss Regina dei carciofi California. Nel 1949 apparì nuda sul calendario sexy Miss Sogni d’Oro. Si fece fotografare così perché non sapeva come pagare l’affitto, perché era ancora nessuno e perché credeva che non l’avrebbe danneggiata. Divenne famosa e un uomo la ricattò. Non cedette. “Ho posato nuda per necessità. Ero senza lavoro e mi servivano 50 dollari per riprendere l’auto pignorata”, spiegò alla stampa. Vera o inventata che fosse, quella storia era il suo ritratto sputato. Un miscuglio di candore e spudoratezza. La raccontò accostando un fazzoletto al viso» (Tommaso Pincio, Corriere della Sera 6/7/2012).

Capelli color federa sporca. Marilyn Monroe non portava il reggiseno (aveva la quarta misura), né gli occhiali (il fascino acquoso dello sguardo veniva da una forte miopia). Si schiariva i capelli con l’acqua ossigenata (colore naturale: castano), tra le tonalità di biondo chiedeva sempre quella che rendesse l’effetto «dirty pillow slip» (federa sporca). Rasava le sopracciglia “ad ali di gabbiano” e disegnava sugli occhi codine con l’eyeliner. Allan Whitey Snyder ci impiegava tre ore a truccarla (particolare impegnativo i vari strati di colori per raggiungere il rosso scarlatto sulle labbra). Portava décolleté tacco undici, soprattutto Ferragamo. Il celebre ondeggiamento dei fianchi pare fosse dovuto a una congenita lussazione dell’anca (ma in molti  sostengono che accorciasse di un centimetro un solo tacco). Aveva il complesso del naso a patata. Qualcuno le aveva detto che tra la punta del naso e la bocca il suo labbro era troppo corto e lasciava apparire le gengive: «Tira il labbro superiore verso il basso, quando ridi». Marilyn provò e riprovò finché il suo sorriso divenne perfetto (però il labbro superiore le tremava leggermente).

In perenne ambivalenza. Dicevano di lei: «forza e fragilità», «sensualità e innocenza», «sesso e cervello», «Venere contemporanea e bomba sexy», «ingenuità e provocazione», «angelo biondo e icona pop».

Ragazza accorta. «Una ragazza accorta bacia ma non ama, ascolta ma non crede e lascia prima di venire lasciata» (Marilyn Monroe).

Al massimo gettava via le scarpe. Il primo marito James Dougherty, lo conobbe nella fabbrica di materiale bellico dove lavorava. Per sposarsi, dovettero attendere che lei compisse i 16 anni. «Era molto timida e schiva, anche se disinibita e sensuale di natura, ma non maliziosa. Di tanto in tanto cantava la melodia Barefoot Days (Giorni a piedi scalzi) e improvvisava un piccolo show durante il quale gettava via le scarpe, una alla volta. Questo era il massimo del suo erotismo». Il matrimonio finì quattro anni più tardi.

Il ventilatore e le mutande bianche. «Joe DiMaggio la vide in una foto in tenuta da baseball. Volle conoscerla. Gli spiegarono che era un’attrice. Joe nutriva scarsa simpatia per il mondo di Hollywood. Lei non aveva mai visto una partita di baseball: lo sport era in cima ai suoi disinteressi. Al primo appuntamento lo fece aspettare due ore. Non poteva funzionare e non funzionò. Ma c’era qualcosa. Lui aveva fatto la sua strada e fu affettuoso e prodigo di consigli. Come un padre. Per lei che non aveva mai avuto un padre, fu una novità, una specie di rifugio. “Si muoveva come una statua”, dirà lei di lui. Durò finché della statua non rimase che la pietra. Quando la moglie è in vacanza segnò la definitiva rottura. Chi non ricorda la scena della gonna sollevata dal passaggio della metropolitana? Joe piombò sul set nel momento topico. Lexington Avenue era piena di fotografi, curiosi e gente comune, tutti in attesa di scorgere Marilyn. L’addetto agli effetti speciali azionò il ventilatore posto sotto la strada e un fiotto d’aria scoprì le gambe e un paio di mutande bianche. Si levavano grida di giubilo mentre Joe DiMaggio si pietrificò una volta per sempre, diventando una statua di rabbia. Fine di un matrimonio» (Tommaso Pincio, Corriere della Sera 6/7/2012).

Incassi. Primo contratto di Marilyn Monroe nel 1946: 125 dollari la settimana. Dopo Giungla d’asfalto ne prendeva 500, sette anni dopo 1.500. Secondo Forbes, nel 2011 la Monroe ha incassato 27 milioni, «che arrivano dagli investimenti compiuti dall’Authentic Brands Group. Società che ha comprato i diritti per sfruttare l’immagine di Marilyn». Il pianoforte bianco della sua infanzia è stato comprato nel 2000 da Mariah Carey per 600 mila dollari.

Sacco di patate. Nel 1951, in una foto di Earl Theisen, Marilyn Monroe appare coperta solo da un sacco di patate. Fa scandalo e fa schizzare alle stelle le vendite del tubero.

Il volo di un colibrì. «Ha qualcosa dentro, una bellissima bambina… Non credo affatto che sia un’attrice, in senso tradizionale. Le qualità che ha, questa presenza, questa luminosità, questi sprazzi di intelligenza. Non potrebbero mai emergere a teatro. Come il volo di un colibrì: solo una cinepresa può fissarne la poesia». Così la signorina Constance Collier, grande attrice dei teatri e poi stimata maestra di recitazione nella New York del dopoguerra (sino al 1955, l’anno della sua scomparsa) definì Marilyn Monroe, che fu sua allieva per alcuni anni.

Il contrappasso di Marilyn. «Il suo fascino e il sex appeal ipnotizzavano gli uomini, ma la condannarono a essere percepita come pura esteriorità: una creatura a una sola dimensione. Per contrappasso Marilyn aveva il mito della cultura e degli intellettuali. Possedeva un cervello che, testato, rivelò un QI più che superiore alla media nazionale. Molte foto la mostrano immersa in letture complesse: Joyce, Rilke, Freud. E un intellettuale riuscì a sposarlo, Arthur Miller, Ma le sembrava impossibile che Miller l’avrebbe amata per sempre. Era sicura che prima o poi l’avrebbe abbandonata, così lo sottopose a prove continue per sfinirlo e costringerlo davvero a lasciarla. Era incapace lei stessa di accettarsi» (Stefania Ricci).

Recitare. «Ho recitato la parte di Marilyn Monroe, solo e sempre Marilyn Monroe. Ho cercato di farla al meglio e mi sono ritrovata a imitare me stessa. Sposando Arthur credevo di poter essere qualcosa di diverso, di poter fuggire da Marilyn Monroe, ma sono tornata a essere la cosa di sempre».

«Happy Birthday Mr. President». Nel 1962 al gala per il presidente d’America «apparse bellissima, in un abito color carne che brillava nel buio della sala stracolma ma che poteva anche essere vuota perché infondo c’erano solo due persone, Marilyn e John F. Kennedy. Lei sussurrò quell’“Happy Birthday Mr. President” che da allora chiunque tentò di imitare, flirtando con il microfono come nella parodia di se stessa. E poco importa se per intonare quelle sedici battute, che furono poi anche la sua ultima interpretazione, aveva provato più di otto ore» (Chiara Maffioletti, Corriere della Sera 15/8/2011).

Discorso funebre. Lee Strasberg, che pronunciò il discorso funebre: «Aveva qualcosa di luminoso. Una combinazione di pensosità, radiosità, struggimento, che la distingueva e nello stesso tempo faceva desiderare a tutti di condividere quell’ingenuità infantile, che era insieme così timida e così vibrante».

La formula della seduzione. «Marilyn era bellissima perché era banale, era la ragazza della porta accanto, costretta a essere quello che non voleva essere. Nell’intuizione della sofferenza di una donna troppo bella per essere vera e dunque condannata a vivere un’esistenza di continua finzione, il pubblico soprattutto maschile trovò la formula della sua irresistibile seduzione. Fu, naturalmente, la morte, opportunamente avvolta da circostanze che hanno permesso di costruire cattedrali di sospetti e di complotti, a trafiggere per sempre quella ragazza non più ragazza nel rimpianto di una generazione di uomini e di donne narcisisticamente innamorati di sé, attraverso i propri idoli come lei» (Vittorio Zucconi, il Venerdì 4/5/2012).

Camera da letto. «Avevo qualcosa di speciale e sapevo cos’era. Ero il tipo di ragazza che trovano morta in una camera da letto con un flacone vuoto di sonniferi in mano» (La Monroe a Truman Capote nel 1955).

Fantasma biondo. Oggi il fantasma biondo traspare nei suggerimenti delle sfilate e nella moda che passa per strada: «quante onde color platino, codine disegnate con l’eyeliner, rossetti scarlatti, pullover di angora, cinture strette stiamo già vedendo, e quanti ne vedremo? Natalie Kingham, buyer inglese per una catena di boutique, interpellata dal Financial Times ha segnalato che la monroemania passa per “i paletot avvolgenti di Stella McCartney, le gonne a matita di Balenciaga, i golf neri di Bottega Veneta e le scarpe Opium di Yves Saint Laurent”» (Egle Santolini, La Stampa 3/11/2011).

Un buon insegnamento. «Perché la moda va misteriosamente proprio in quella direzione: forme morbide, silhouette a clessidra, esaltazione della femminilità, rifiuto degli atroci modelli anoressici ma anche del look spogliato da velina. Elizabeth Saltzman, stylist di Vanity Fair Usa, ricorda come Marilyn sia riuscita a diventare un sex symbol stellare nei bacchettoni anni Cinquanta: dunque “aggirando la censura, con abiti ti vedo e non ti vedo. Un buon insegnamento per le ragazze che oggi non vogliono più scioccare ma essere eleganti”» (ibidem).

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