La città del futuro

Dovranno essere diverse, più vivibili e soprattutto sostenibili dal punto di vista ambientale. E le prime stanno già nascendo...

Popolazione in aumento. Al mondo siamo sempre di più. Abbiamo oltrepassato da poco la soglia dei 7 miliardi e secondo le stime dell’Onu potremmo toccare gli otto miliardi nel 2025, per superare i nove prima del 2045. Dove andrà ad abitare tutta questa gente? In città: una risposta che non è così ovvia quanto sembra, visto che solo nel 2010 la popolazione urbana ha superato quella rurale. Prima, più della metà della gente abitava in campagna, o comunque in aree non urbanizzate.

Tutti insieme. La tendenza comunque è chiara. Secondo il Worldwatch Institute, entro il 2050 la popolazione urbana mondiale è destinata a crescere di 2,6 miliardi di unità, portando a 6,3 miliardi il numero delle persone che abiteranno nelle città, concentrate soprattutto in megalopoli con più di 20 milioni di abitanti.

Idee nuove. Con queste premesse, meglio pensare fin da subito a tutti i problemi che possono derivare da aggregazioni i questo genere, cominciando naturalmente da quelli legati all’impatto ambientale. Altri nodi da sciogliere sono poi l’approvvigionamento idrico ed energetico, il traffico e la mobilità urbana, i sistemi di comunicazione, la sicurezza dei cittadini e via dicendo. Insomma, si tratta di riprogettare le città facendole diventare qualcosa di diverso e più sostenibile, sia dal punto di vista economico che ecologico – da quelle che già conosciamo.

Dove abiteremo? Progetti che scandagliano possibilità da mettere in pratica in un futuro più o meno lontano non mancano. Alcuni sono poco più che studi accademici, altri invece sono assai concreti e vedranno la luce nel giro di pochi anni. Tutti però sono molto interessanti: eccone alcuni.

Planit Valley. Ultima in ordine di tempo a far parlare di sé è Planit Valley, il nome è ancora provvisiorio, una smart city nel vero senso della parola, dato che grazie a più di 100 mila sensori sarà capace di interagire con i suoi cittadini e perfino di “pensare”. L’idea è di Living PlanIT, azienda specializzata nello sviluppo di tecnologie ecosostenibili, che dal 2010 sta realizzando il nuovo centro abitativo su un’area di 1.680 ettari nel comune portoghese di Paredes, nel distretto di Oporto. Termine previsto per la fine dei lavori: il 2015.

Secondo natura. L’intera città sarà ecosostenibile. Gli edifici (prefabbricati e di forma esagonale, per risparmiare soldi e spazio) avranno i tetti ricoperti di vegetazione, che oltre ad assorbire pioggia e sostanze inquinanti, assicurano un maggior isolamento termico. Tutta l’energia necessaria sarà fornita da fonti rinnovabili – dai pannelli solari alle pale eoliche, alle biomasse – mentre l’acqua piovana verrà recuperata e reimmessa nel circuito idrico cittadino. Sorte che subiranno anche le acque grigie, cioè gli scarichi di docce e lavandini, che saranno trattate con particolari piante depuranti, come il bambù. Non saranno sprecati neppure i rifiuti, riciclati all’80%.

Ti sento. Ma torniamo ai sensori. Ce ne saranno in ogni edificio, per misurare numero degli occupanti e temperatura e regolare di conseguenza riscaldamento e consumo di energia. Il tutto verrà poi inviato a un supercomputer centrale, cuore pulsante della città. Già, perché la grande novità di Planit Valley è questa, un cervello elettronico – è proprio il caso di dirlo – che regolerà tutte le attività cittadine, ottimizzando le risorse e riducendo al minimo gli sprechi. La quantità di dati che ogni giorno dovrà gestire è enorme: circa cinque milioni di gigabyte.

Traffico addio. E per strada? Beh, grazie ai sensori posizionati sia sulle auto sia sulle vie di scorrimento, sicuramente non ci sarà traffico. E nemmeno inquinamento, visto che i veicoli saranno elettrici o a idrogeno. Planit Valley, che secondo i progettisti sarà in grado di accogliere 225 mila persone nel giro di pochi anni, ha già ottenuto il riconoscimento Technology Pioneers 2012 da parte del World Economic Forum: ora non resta che attendere la fine dei lavori.

Masdar City. Votata all’ecologia è anche Masdar City, una città a emissioni zero progettata dall’architetto Norman Foster (lo stesso che ha disegnato lo Spaceport America, la prima struttura dedicata al turismo spaziale, nel New Mexico), che sta sorgendo a 15 km da Dubai. L’approvvigionamento energetico è affidato a grandi impianti fotovoltaici e a centrali eoliche, ma la Masdar, la società finanziatrice del progetto, ha intenzione di ricorrere anche all’energie geotermica e di realizzare un grande impianto alimentato a idrogeno. Il primi edifici della cittadina sono stati occupati nel 2010 dal Masdar Institute of Science and Technology, ma successivamente la crisi economica ha rallentato l’andamento dei lavori: il completamento della città, originariamente previsto per il 2016, è stato rimandato al 2025.

Dongtan. Bisogna spostarsi in Cina per trovare altri progetti simili a quello di Dubai. Il primo è quello di Dongtan, vicino a Shangai, una città ecologica con l’ambizione di diventare la versione green di Manhattan: autosufficiente dal punto di vista energetico e dotata di mezzi di trasporto a emissioni zero. “Pensata” nel 2008, i lavori non sono mai proseguiti per mancanza di fondi.

Caofeidian. Sempre nel Celeste Impero dovrebbe sorgere la di città ecologica di Caofeidian, sul Golfo di Bohai, progetto firmato dall’architetto italiano Pierpaolo Maggiora. Su un’area di 94 km quadrati interamente ricavati sul mare, avrà emissioni di CO2 pari al 5% di quella di un’analoga città di dimensioni paragonabili. Il fabbisogno energetico sarà interamente soddisfatto da fonti rinnovabili: 38% dalle maree, 18% dall’eolico, il 10% da pannelli solari, il resto dalla gestione dei rifiuti trasformati in biogas.

Fra terra e mare. E se la terra non basta per costruire, c’è il mare. A metà strada fra lo studio di stile e la fantascienza, la città galleggiante di LilyPad, dell’architetto belga Vincent Callebaut, è libera di fluttuare sulle onde: l’energia necessaria ai suoi 50 mila abitanti è fornita da pannelli solari, pale eoliche e turbine. Mentre lo statunitense E. Kevin Schopfer ha pensato a Noah (sigla che sta per New Orleans Arcology Habitat), un’isola artificiale alta 350 metri e larga 600, a prova di tsunami.

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