Piccolo dizionario economico

Btp, default, bond... vi sembrano termini astrusi? Non vi preoccupate, sono più semplici di quanto pensiate. Leggete qui e capirete tutto...

Perfetti economisti. In queste settimane sono in agenda una serie di incontri dei vertici del vecchio Continente alla fine dei quali termini da perfetti economisti diventano improvvisamente pane quotidiano di tg e quotidiani. Parole spesso oscure che ognuno di noi deve imparare a maneggiare in fretta e con una certa disinvoltura. In soccorso ecco un piccolo dizionario per capire in maniera semplice che parole come bund, spread, btp, default, eurobond eccetera sono meno difficili di quanto vogliano apparire.

«La california esce dalla crisi e torna ad emettere bond» (Il Sole 24 Ore, 12/4/2012)
Bond.
Obbligazione. Quando si tratta di un’obbligazione governativa viene chiamato anche titolo di Stato. È il modo più diffuso con cui un’azienda privata o un ente pubblico raccolgono soldi. In pratica chiedono un prestito per svolgere la loro attività. Danno il diritto a un interesse (cedola, generalmente semestrale) e hanno una durata (breve, media, lunga) alla fine della quale il capitale viene rimborsato. In pratica mentre acquistando azioni si diventa soci, comprando obbligazioni si diventa creditori.

«Con i tassi dei bond in caduta risparmio di 55 miliardi in 3 anni» (la Repubblica, 2/3/2012)
Tasso d’interesse.
Quantità di denaro che un’azienda o uno Stato promettono in cambio di un prestito. In termini di titoli di Stato, è anche il rischio percepito di un Paese. Più viene considerato rischioso, più alto dovrà essere il tasso d’interesse pagato dalle sue obbligazioni, perché dovrà offrire maggiori guadagni agli investitori per convincerli a prestargli i soldi. Viceversa se lo Stato è solido si potrà permettere di offrire bassa remunerazione perché gli investitori saranno attirati dall’assenza di rischio.

«Moody’s boccia la Spagna: da A3 a BAA3» (Corriere.it, 14/6/2012)
Rating.
Indica il grado di solidità di una società o un ente che emette titoli sul mercato. Il rating lo danno alcuni istituti di ricerca internazionali: Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch. In pratica è una pagella e il voto viene espresso in lettere. Ad esempio per S&P le classi di rating vanno da AAA (elevata solidità) a D (società insolvente). Per Moody’s da Aaa (livello minimo di rischio) a C (massimo rischio). Quando si decide di abbassare il rating di uno Stato o di un’azienda si dice downgrade.

«Il nostro debito pubblico è abbastanza grande per poter badare a se stesso» (il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan nel 1988. Leggi qui)
Debito.
La quantità di soldi che un’azienda o uno Stato (in questo caso è chiamato debito sovrano o pubblico) devono a chi ha prestato loro denaro (detti stakeholder, vedi sotto). Per gli Stati viene spesso citato come frazione del Pil, che altro non è che il reddito annuo del Paese stesso. Quando diciamo che il debito italiano è al 120%, intendiamo dire che l’Italia deve 1,2 volte quello che guadagna in un anno.

Stakeholder. Portatore di interesse. Cioè tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati alle vicende di un’azienda: azionisti, finanziatori, amministratori, dipendenti, clienti, fornitori, ma anche gruppi di interesse esterni, come i residenti di aree limitrofe all’azienda o gruppi di interesse locali. Secondo questa teoria (elaborata nel 1963 all’università di Stanford) il processo produttivo di un’azienda generica deve soddisfare delle soglie critiche di costo, servizio e qualità che sono diverse e specifiche per ogni stakeholder. Al di sotto di una prestazione minima, il cliente cambia fornitore, manager e dipendenti si dimettono, e i processi materialmente non possono continuare.

«Istat, il rapporto deficit/Pil sfora il 120%: record dal ‘96» (Sky Tg 24, 2/3/2012)
Deficit/Pil.
Rapporto che misura il rigore nei conti pubblici di uno Stato. È dato dal saldo tra entrate (fatte principalmente di prelievo fiscale) e uscite (spesa pubblica e interessi pagati sul debito) di uno Stato e il suo Prodotto interno lordo (Pil). Quando il saldo tra entrate e uscite è zero si dice che c’è stato un pareggio di bilancio. I criteri fissati a Maastricht per essere ammessi nell’area euro prevedevano un rapporto Deficit/Pil inferiore al 3% e un debito pubblico inferiore al 60% del Pil. Con le difficoltà economiche degli ultimi anni questi due parametri sono stati un po’ allentati.

«Allarme recessione: ad aprile crollo-record per le vendite al dettaglio» (La Stampa, 26/62012)
Recessione
. Un periodo prolungato – in genere almeno due trimestri – caratterizzato da un peggioramento delle condizioni economiche: crescita negativa del Pil, aumento del tasso di disoccupazione, diminuzione della produzione industriale. Il ciclo economico si compone di diverse fasi: quella della ripresa, dell’espansione, della recessione, della stagnazione e della depressione.

«S&P promuove Atene: “Cala il rischio di default”» (la Repubblica, 2/5/2012)
Default.
Insolvenza. È il fallimento di un Paese. Condizione di insolvenza di un’azienda o di un Paese nei confronti di obbligazioni o debiti. Si verifica quando un’emittente non è capace di rispettare le regole del finanziamento, di onorare il debito contratto. Una volta dichiarato fallimento il debito viene cancellato e ai creditori non viene restituito il denaro prestato. Caio aveva un credito verso Tizio? Ora non c’è più, annullato.

«Ieri lo spread è schizzato fino al record di 490 punti, il massimo da gennaio, prima di ripiegare a quota 475» (la Repubblica, 13/6/2012)
Spread (Btp-Bund).
Letteralmente: larghezza, apertura, forbice, divario. Altro non è che la differenza tra i rendimenti delle obbligazioni tedesche a 10 anni (Bund) e di quelle italiane della stessa durata (Btp). Ovvero si prendono gli interessi annuali che lo Stato italiano paga a chi ha deciso di finanziarlo e ci si sottraggono quelli che paga lo Stato tedesco. Esempi:

– Il Btp dà interessi del 5,30% e il Bund dello 0,80%: 5,30-0,80=4,50, trasformato in centesimi viene uno spread di 450 punti.

– Il Bund rende il 2 per cento e il Btp il 6. Comprando 10.000 euro di Bund, fra un anno il capitale lordo sarà di 10.200 euro; se invece prendo 10.000 euro di Btp, fra un anno ci saranno 10.600 euro.

– La differenza di 400 euro è causata dal fatto che lo Stato italiano è considerato meno affidabile di quello tedesco. In pratica quando lo spread Btp-Bund aumenta significa che i titoli emessi dell’Italia perdono prezzo perché percepiti sempre più rischiosi, e il governo nazionale, per venderli, deve offrire immediatamente cedole più elevate.

«G20, fondo salva Stati per calmare lo spread» (l’Unità, 20/6/2012)
Fondo salva Stati.
La sigla Efsf si traduce in Fondo europeo di stabilità finanziaria. Creato dalla Ue in occasione della crisi finanziaria che ha colpito la Grecia nel maggio del 2010, serve per aiutare gli Stati membri in difficoltà. Aiutarli attraverso prestiti, linee di credito, ricapitalizzazioni, acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario ecc. Aveva un capitale iniziale di 220 miliardi di euro, poi alzato a 440. È intervenuto, oltre che per la Grecia, anche per Irlanda e Portogallo. Il Fondo, previsto alla nascita come misura straordinaria, scade nel 2013. Si è deciso di sostituirlo, già da questo luglio, con l’Esm. Un meccanismo di stabilità europeo con funzioni pressoché identiche e questa volta permanenti.

«Il premier italiano porta a casa un meccanismo per fermare il differenziale fra i titoli di Stato tedeschi e quelli degli altri Paesi» (la Repubblica, 29/6/2012)
Scudo Antispread.
Livello di spread oltre il quale il Fondo salva Stati e la Bce intervengono in aiuto ai Paesi membri acquistando i loro titoli. La proposta è stata avanzata al Consiglio europeo del 28 giugno dal premier italiano Mario Monti, secondo cui l’intervento sarebbe da limitare ai Paesi «virtuosi» (cioè in regola secondo parametri come bilancio e riforme). Lo scudo scatterà dopo la firma di un apposito memorandum con Bruxelles, ma senza obblighi di riforme lacrime e sangue come quelle imposte alla Grecia e monitorate dalla troika Ue-Bce-Fmi.

«Covered bonds per ridurre spread di Italia e Spagna» (Il Tempo, 28/6/2012)
Covered bond.
Obbligazioni o titoli di Stato garantiti. Si basano sulla garanzia implicita che sta alla base della loro emissione. In altre parole, emettendo questo tipo di obbligazioni per finanziare ad esempio la costruzione di un edificio, l’edificio stesso e i frutti derivanti dalle sue attività possono essere messi in liquidazione dai possessori delle obbligazioni in caso di mancato rimborso di queste. Sono titoli che pertanto risultano meno rischiosi delle obbligazioni non garantite e hanno quindi un tasso di interesse più basso. La Finlandia li utilizzò durante la crisi economica degli anni Novanta.

«Il no della Merkel sulla proposta di emissioni comuni di titoli europei, detti eurobond, per ora è netto» (Corriere della Sera, 29/6/2012)
Eurobond
Sarebbero le obbligazioni emesse dalla Comunità europea. Se ne è iniziato a parlare all’inizio degli anni ’90. Allora avrebbero dovuto finanziare progetti infrastrutturali, ora verrebbero utilizzate soprattutto per la ristrutturazione del debito pubblico degli Stati aderenti. Poiché garantite dalla Comunità europea nel suo complesso, e non dai singoli Stati, godrebbero di garanzie tali da poter spuntare tassi bassi. Italia, Spagna, Grecia e altri Stati ora devono rifinanziare il loro debito pubblico in scadenza sui mercati a prezzi molto alti a causa del timore degli investitori sulla loro capacità di rimborso. Potrebbero invece giovarsi degli eurobond perché verrebbero offerti a tassi più vicini a quelli ottenuti dalla Germania e dagli altri Paesi con i conti pubblici in ordine (in quanto considerati ad alta solvibilità). Gli Stati virtuosi invece ne ricaverebbero molti oneri (nell’ipotesi peggiore accollarsi la restituzione degli eurobond di un Paese finito in default). Inoltre vedrebbero aumentare il peso del debito rispetto al Pil mettendo a rischio la loro valutazione per le agenzie di rating, con impatto negativo sul costo delle emissioni proprie.

«Decollano i project bond: un tesoretto da 200 miliardi per far ripartire la crescita» (la Repubblica, 1/5/2012)
Project bond
Obbligazioni a progetto. Sono quei finanziamenti che servono a realizzazione uno specifico investimento. Ad esempio un’azienda che vuole acquistare un macchinario, o un ente che vuole realizzare un’opera infrastrutturale. In questi casi è possibile raccogliere soldi indebitandosi attraverso un prestito obbligazionario la cui finalità (il progetto) è noto a priori. Con queste si vorrebbe rilanciare, se emesse a livello dell’Unione europea, la competitività su aree strategiche (trasporti, reti telematiche, trasmissione di energia). Permetterebbero di trovare il denaro senza andare a gravare sui bilanci degli Stati membri e quindi sul loro debito pubblico. La garanzia dell’Unione europea invoglierebbe investitori istituzionali (ad esempio banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione) a comprarle e la liquidità per rimborsale verrebbe dai flussi di cassa che tali opere produrrebbero nel tempo.

«Credito: mini bond per le Pmi» (Italia Oggi, 16/6/2012)
Minibond
Obbligazioni emesse dalle Pmi italiane (non quotate in borsa) per finanziarsi. Lo strumento è stato previsto nel decreto legge Crescita (approvato a giugno dal gorveno Monti). Lo possono fare a condizione di essere assistite da uno sponsor, di avere ricevuto la certificazione dell’ultimo bilancio e che i titoli circolino tra investitori qualificati. I minibond esistevano già, solo che nessuno li emetteva. Si è pensato che questo fosse dovuto al trattamento fiscale, così si è abbassata la tassazione al 12,5%, stesso trattamento dei titoli di Stato.

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